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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LA MUSICA - DALLE ORIGINI AL XIV SECOLO

LA MUSICA NEL MONDO CLASSICO

La musica della Grecia antica ha per noi un certo interesse, non di per sé (ne sappiamo pochissimo), ma in relazione all'influenza che le idee su di essa espresse e certi aspetti tecnici (che invece ci sono noti), hanno avuto sulla musica di tempi successivi.
Per i Greci il termine musica aveva un significato molto vasto: comprendeva infatti la poesia, la danza, la ginnastica accanto a ciò che riguardava più da vicino il canto e le tecniche strumentali; aveva quindi parte importante nell'educazione e nel costume. Chiunque conosca anche solo un po' i poemi omerici, ricorderà come le allusioni musicali vi abbiano ampio spazio; persino un personaggio come Achille viene descritto nell'atto di cantare accompagnandosi con la phorminx (strumento a corde del tipo della lira).
Compare la figura del cantore professionista che dà lustro a una reggia e interviene a rallegrare (ma anche a nobilitare) i banchetti dei nobili. I canti, solistici o corali, venivano accompagnati da strumenti a corda, cetre, o a fiato, aulos. è importante sottolineare che il concetto di polifonia e di accordo fu totalmente sconosciuto ai Greci.
Successivamente al periodo di Omero (i cui poemi non venivano cantati), la produzione poetica è sostanzialmente legata al canto: solistico nel caso di quella lirica, privata e raffinata; corale nel caso di quella occasionale legata ai momenti della vita pubblica.
In questo periodo, e per qualche secolo ancora, la musica rimase comunque affidata alla tradizione orale, ossia non si scriveva. Importanza particolare ebbero quindi certe formule, certe strutture musicali chiamate nòmoi, (dal greco nòmos che in origine indicava una «divisione» amministrativa o territoriale) le quali, per essere di relativamente facile memorizzazione, potevano essere usate come base per il canto o per la musica strumentale.
Ai nòmoi è legato il nome di un mitico musicista, Terpandro, che ne fece la base del suo insegnamento, portando anche la lira da quattro a sette corde (per lo meno questo fatto gli è attribuito); siamo a Sparta nel VII secolo e proprio questa città, ritenuta così rigida e austera, diventa in questo lungo periodo la capitale della musica greca. Ad Atene, la musica assume importanza a partire dalla metà del VI secolo, quando si ha un movimento di rinnovamento legato al culto di Dioniso, che viene incoraggiato da Pisistrato. Attraverso l'istituzione di gare poetico-musicali il cui genere principale era costituito dal ditirambo (appunto in onore di Dioniso), i nòmoi si modificano.
Più o meno nello stesso periodo Pitagora raccoglie intorno a sé a Crotone, una scuola in cui la musica ha la sua importanza. Sia dal punto di vista sperimentale che dal punto di vista speculativo elabora concetti e idee che avranno il loro peso per secoli: misurazione degli intervalli semplici (ottava, quarta e quinta), costruzione delle scale musicali, teoria della catàrsi (dal greco kathàirein = «purificarsi» attraverso la musica), idea della «musica delle sfere» prodotta dagli astri nei loro movimenti.
All'età di Pericle (seconda metà del V secolo) risalgono precise documentazioni sulle prese di posizione di filosofi, poeti e politici di fronte alla musica: innovatori e tradizionalisti si affrontano; le polemiche tra nuovo ed antico trovano un'eco nelle opere di Aristofane, il ben noto poeta e commediografo. Platone prima e Aristotele poi, mostrano di apprezzare la musica soltanto se essa si mantiene subordinata alla poesia, se mantiene un carattere sanamente educativo e se non viene affidata a musici di professione.
In conseguenza della maggior complessità delle strutture ritmo-melodiche, si sente la necessità di scrivere la musica, che prima era tramandata oralmente. Che cosa ci resta di queste musiche? Pochissimo: due inni delfici e il cosiddetto Epitaffio di Sicilo; altri inni (alla Musa, al Sole e alla Némesi) attribuiti a Mesòmede (II secolo d.C.); alcuni frammenti su papiri diversi di musica vocale e strumentale (importanti quelli contenenti alcuni versi con musica dell'Oreste e dell'Ifigenia in Aulide di Euripide). è tutto.
Per quanto riguarda il mondo romano le cose sono andate anche peggio: non abbiamo neppure una nota. Numerose sono le testimonianze sull'impiego della musica negli spettacoli teatrali e sull'adeguamento di teorici e musici a quanto proveniva dalla Grecia; in campo musicale la personalità dei Romani è stata nulla.

GLI STRUMENTI

Si può affermare che da sempre l'uomo ha cercato di utilizzare i materiali più elementari con cui è venuto a contatto (pietre, legni, pelli, canne) per produrre suoni determinati o indeterminati.
Enorme è quindi il numero degli strumenti musicali inventati nel corso dei tempi e in relazione a diverse aree culturali e geografiche; l'insieme di essi costituisce una delle più vive testimonianze della creatività umana.
Una classificazione che cerca di inquadrare in modo unitario non solo gli strumenti dell'orchestra occidentale e colta, ma anche quelli della musica etnica e popolare, è stata proposta proprio dagli etnomusicologi, secondo i quali si possono stabilire cinque grandi classi di strumenti.

1) Idiofoni (dal greco ìdios = «particolare» e phoné = «suono»), nei quali è globalmente il materiale stesso di cui è costituito lo strumento ad entrare direttamente in vibrazione. Rientrano in questa classe tutti quegli strumenti usualmente indicati come «a percussione», ad eccezione di quelli che utilizzano pelli tese. Rientrano in questa classe piatti, nacchere, triangoli, vibrafono, xilofono, gong, maracas, scacciapensieri, campane e una grandissima quantità di strumenti di origine etnica.

2) Membranofoni nei quali il suono è prodotto tramite la sollecitazione di una membrana tesa su una superficie che funge da risuonatore. Vi appartengono il timpano e le varie specie di tamburi.

3) Cordofoni, nei quali il suono è prodotto dalla messa in vibrazione di una corda tesa, opportunamente collegata con una cassa armonica. Si considerano qui diverse sottoclassi di ineguale importanza.
a) Cetre, nelle quali le corde sono tese parallelamente ad una cassa armonica sprovvista di manico. Ne fanno parte strumenti diversissimi, dal primitivo arco musicale, alla vina e al sitar indiani, dal salterio al clavicembalo e al pianoforte.
Un sitar, la tipica chitarra indiana

b) Liuti, che sono provvisti di una cassa armonica e di un manico distinto da essa. Comprendono sia i liuti veri e propri che le chitarre, i mandolini e le famiglie del violino e delle viole da gamba.
c) Lire, che comprendono gli strumenti dell'antica Grecia, nei quali le corde decorrevano fra due bracci laterali, prolungamento della cassa posta in basso, ed erano fissate in alto ad una traversa.
d) Arpe nelle quali le corde formano un angolo, per lo più acuto, con la cassa armonica.

4) Aerofoni, nei quali il suono è prodotto dall'aria messa opportunamente in vibrazione. Nel caso più generale essa è contenuta in un tubo e, a seconda di come viene messa in vibrazione, si distinguono aerofoni ad imboccatura semplice (flauti), ad ancia semplice (clarinetti e sassofoni), ad ancia doppia (oboi e fagotti) e a bocchino (trombe, tromboni corni e tube). Gli strumenti appartenenti a queste famiglie vengono nella pratica musicale spesso indicati come legni e ottoni, notiamo però che il flauto, pur appartenendo ai legni assieme agli oboi, ai clarinetti e ai fagotti, è normalmente oggi costruito in metallo.
Oltre a questi vi sono altri aerofoni che comportano la presenza di un serbatoio d'aria, come la cornamusa, la fisarmonica e l'organo. In altri strumenti come l'armonium e l'armonica a bocca, la presenza di ance intonate e libere produce direttamente il suono quando esse siano messe in vibrazione dall'aria su di esse indirizzata.

5) Elettrofoni, nei quali il suono viene modificato o prodotto con l'aiuto di circuiti elettrici. Si devono distinguere strumenti che utilizzano i modi di produzione tradizionale trasformati elettricamente (ad esempio la chitarra elettrica), da altri in cui il suono viene prodotto da una fonte elettronica (trautonium, organo Hammond, onde Martenot, sintetizzatori).

IL CANTO MONODICO

I canti dei Cristiani hanno un'importanza particolare per la storia della musica: non ne abbiamo però esempi notati per la bellezza di sette secoli; le prime notazioni neumatiche (dal greco pneuma = «soffio», che per corruzione del vocabolo diventa neuma, segno grafico che nella notazione gregoriana indica la nota) risalgono infatti all'inizio del IX secolo.
Il canto cristiano tramandato per tradizione orale non ci è quindi a rigore noto. Alla luce di questo fatto non è ben chiaro che cosa veramente debba a papa Gregorio Magno il canto detto appunto «gregoriano». Prima si erano affermati vari stili: bizantino in Oriente, ambrosiano nella diocesi di Milano, gallicano in Francia, mozarabico in Spagna e, naturalmente, un canto romano antico. Si avevano anche vari modi di cantare. C'erano la cantillazione, ossia una lettura appena intonata; la salmodia, ossia il canto dei salmi; lo jubilus (dal latino = «giubilo»), canto senza testo che si esprimeva in lunghi vocalizzi, di evidente derivazione orientale. C'era inoltre, l'innodia, ossia il canto degli inni, componimenti di lode alla divinità, basati su brevi versi ben ritmati, i più noti dei quali sono legati al nome di sant'Ambrogio, vescovo di Milano (morto nel 397).
Gregorio Magno, pontefice fra il 590 e il 604, sostanzialmente fa un'opera di sistemazione dei canti (o meglio dei loro testi) preesistenti per ricondurre la liturgia ad una comune fonte codificata a Roma. I caratteri del gregoriano si possono così sintetizzare: esecuzione esclusivamente vocale, ritmica libera e fluida, senza alcun riferimento ad un metro prestabilito; uso di scale modali (nelle quali i suoni si susseguono secondo un rapporto diverso da quello delle scale maggiori e minori), due note delle quali (la finalis e la repercussio o dominante) assumono particolare importanza nell'ambito delle melodie.
Nel periodo carolingio il canto gregoriano si uniforma alle direttive del papato, con l'appoggio dell'autorità di Carlo Magno; la fissazione del repertorio, anche a scapito degli stili locali, produce un inaridirsi delle possibilità creatrici dei musicisti; dalla ricerca di un compromesso fra legalità e creatività, nascono due nuove forme musicali: la sequenza e il tropo.
Al di fuori della chiesa la gente che cosa cantava? La domanda è legittima, e ci riporta al problema centrale della notazione: chi era dotato della necessaria preparazione per cercare di fissare la musica sulla carta, apparteneva al clero, in particolare agli ordini monastici, i quali tramandavano ciò che ad essi interessava, escludendo quasi del tutto il resto. Abbiamo quindi solo una pallida idea di ciò che, nello stesso tempo, si veniva elaborando fuori del controllo della Chiesa.
C'erano i canti dei goliardi, detti clerici vagantes per l'uso degli studenti di trasferirsi da un'università all'altra: essi cantavano il vino, l'amore fisico, il piacere della danza mescolando spesso al latino dell'epoca versi in volgare: la più nota raccolta di questo tipo è quella dei Carmina Burana.
Altri canti nascono nell'ambiente militare, come il Canto delle scolte modenesi o quello sulla battaglia di Fontenoy. Altri sono intonazioni di versi di autori latini o lamenti, sempre su testo latino, per la morte di nobili personaggi, come il Planctus Karoli, per la morte di Carlo Magno. Il panorama della musica profana monodica, è arricchito, più per quel che riguarda il modo di far musica che per la musica in sé, dall'attività dei giullari. Figura tra il cantore (ma sapeva anche suonare uno o più strumenti), il giocoliere e il buffone di strada o di corte, stabilmente domiciliato o vagante, il giullare aveva nel suo repertorio anche la produzione dei trovatori e dei trovieri, per i quali bisogna fare un discorso a parte.
La loro attività si pone tra il secolo XI e i primi del XIII. Essi, attivi prevalentemente in Francia, poetano in lingua d'oil o in lingua d'oc: la prima diede origine al francese moderno, mentre la seconda raggruppava l'insieme dei dialetti provenzali del Sud della Francia. I trovatori sono appunto i poeti-musicisti del Sud, che vengono solo in un secondo tempo imitati da quelli del Nord, a loro volta definiti trovieri. Personaggi spesso di nobile origine, avevano sede stabile presso le diverse corti: erano poi i menestrelli a diffonderne le opere.
Tra i trovatori si ricordano Guglielmo VII di Poitiers duca d'Aquitania, Bernart de Ventadorn, Raimbaut de Vaqueiras, Jaufré Rudel; tra i trovieri Gace Brulé, Thibaut de Champagne e Adam de la Halle, quest'ultimo compositore anche di musica a più voci, nonché di una sorta di operetta di ambiente pastorale Le jeu de Robin et de Marion, rappresentata alla corte di Napoli nel 1275 (o nel 1285). I temi poetici erano quelli dell'amore cortese, l'incontro fra il nobile cavaliere e la pastorella, la canzone della donna che fila attendendo il suo amore, il canto della sentinella che veglia sull'incontro di due amanti, il canto di crociata. Alcuni avevano sfondo politico o morale. Delle arie possediamo solo la linea melodica; non c'è nulla di scritto per quello che riguarda gli strumenti che come risulta dalle miniature dell'epoca accompagnavano il canto.
Nei Paesi tedeschi, un po' dopo rispetto alla Francia, si ebbe una produzione analoga a quella dei trovatori e trovieri: essa è dovuta ai Minnesinger (o Minnesänger), così chiamati dal nome tedesco dell'amor cortese: Minnie.

IL CANTO POLIFONICO

Parallelamente alla storia delle musiche ad una sola voce, nasce un evento di importanza capitale per la storia della musica occidentale: il canto a più voci, la polifonia. Le nuove forme polifoniche si basano sul gregoriano; in un trattato della metà del IX secolo e in commento ad esso, si trovano i più antichi esempi scritti di polifonia: prendono il nome di organum.
In un altro tipo di composizione polifonica dell'epoca, il conductus (in origine un canto processionale) le voci procedono nota contro nota, il testo è unico e il tenor di solito di libera invenzione. Queste due forme dominano la produzione del periodo tra il 1250 e il 1320. Sono anche di questo periodo le prime composizioni strumentali non legate alla danza.
Tra il XII e il XIII secolo viene trovata la possibilità di dare un ritmo, di poterlo fissare sulla carta, alle lunghe sequenze di note della voce superiore dell'organum. Ciò avviene a Parigi nell'ambito della cosiddetta Scuola di Notre-Dame, dal nome dell'omonima cattedrale.
Due nomi emergono, quelli di Leoninus e di Perotinus, che possono forse essere considerati i primi veri compositori della storia. Il primo scrive organa a due voci, il secondo arriva a quattro (quadrupla), sovrapponendo voce a voce. Come l'organum si abbarbica al canto gregoriano, ai tropi, così l'invenzione poetico-musicale del mottetto mette radici nel terreno dell'organum.

ORGANUM

Si tratta in questi primi esempi di un canto a due voci: una melodia gregoriana viene accompagnata a distanza di ottava, quinta o quarta da un'altra voce; altre volte il movimento è un po' più libero, ma sempre nota contro nota e tendenzialmente parallelo: la voce aggiunta è come l'ombra dell'altra. Ma in seguito, le voci procedono per moto contrario, ossia quando una scende l'altra sale e viceversa. Questo modo di procedere si impone gradatamente: nel Tropario di Winchester, un manoscritto inglese della prima metà del secolo XI, lo si riscontra solo sporadicamente. Accade invece regolarmente che la voce che riprende la melodia gregoriana sia ora quella inferiore in funzione di sostegno. Questo prepara la possibilità, attuata nel secolo successivo, di sviluppare con più fantasia la voce superiore: questo tipo di organum è documentato a San Marziale di Limoges in Francia e a Santiago di Compostela, in Spagna.

MOTTETTO

Il nome di questa nuova forma musicale deriva dal francese mot = «parola». Infatti esso nasce dall'aggiunta di nuove parole alla seconda voce (duplum) di alcune sezioni degli organa, in un secondo tempo si crea anche la parte musicale di questa seconda voce e se ne aggiunge una terza. Fatto notevole, i testi aggiunti possono essere non solo diversi fra loro, ma anche uno in francese e l'altro in latino e, infine, di argomento sacro e profano contemporaneamente. La parte del tenor è affidata ad uno strumento e infatti non porta più testo.

TENOR

In riferimento alla musica polifonica il termine indica una melodia di solito presa a prestito dal gregoriano o, meno frequentemente, dal repertorio profano, e posta alla base di una nuova composizione. Il termine tenor vuole indicare la presenza continua della voce corrispondente che «teneva» suoni lunghi durante tutto il corso del brano, (vedi gli organa dell'epoca di Notre-Dame). Il tenor (detto anche spesso cantus firmus), subì poi trasformazioni tendendo a muoversi attraverso le diverse voci. Nelle composizioni più antiche il tenor occupa sempre il posto della voce più bassa.
In seguito si attesta in posizione più centrale, essendo il basso affidato ad una nuova voce, detta appunto contratenor bassus.

IL TRECENTO IN FRANCIA E IN ITALIA

Questo ribollire di invenzioni musicali, scatena nella prima metà del Trecento serie polemiche tra progressisti e tradizionalisti. Scende in campo in prima persona addirittura un papa: dall'esilio di Avignone Giovanni XXII si scaglia infatti con una bolla contro le novità della nuova musica che con i suoi rapidi valori di note misurate, sempre più si allontana dal canto gregoriano. E proprio Ars nova si chiama una specie di trattato-manifesto di queste nuove tendenze: lo pubblica Philippe de Vitry, pressappoco nello stesso periodo (1320-1325) del decreto papale. Il suo titolo darà il nome a tutta la produzione del XIV secolo in Francia; per reazione, si definirà ars antiqua quella precedente.
Nuove tecniche musicali vengono utilizzate nella stesura dei mottetti, che sviluppano temi politici, satirici o celebrativi, mentre nascono nuove forme come il rondeau, caratterizzato dalla ripresa di un identico tema, il virelai e la ballade, con testi legati alla celebrazione dell'amore cortese. Guillaume de Machaut (1300 ca. - 1377) poeta e musicista francese, è la maggiore personalità dell'epoca. La sua Messa di Notre-Dame è la prima organicamente e interamente composta da un solo autore.
In Italia la nuova musica assume caratteristiche parzialmente indipendenti da quella francese. Il Trecento italiano è caratterizzato da espressioni artistiche musicali essenzialmente laiche. Dante, Petrarca, Boccaccio, parlano spesso di musica nei loro scritti; testi degli ultimi due vengono musicati dai loro contemporanei. Cacce, madrigali e ballate, sono le forme musicali maggiormente praticate; esse erano interpretate, secondo le più attendibili ipotesi di studio, da voci soliste sostenute da strumenti. è un'arte raffinata, che non rifiuta però elementi popolareschi specie nelle cacce dove le voci superiori si inseguono vivacemente fra loro. Fiorentino fu Francesco Landino, ma i nomi di Jacopo da Bologna, Giovanni da Cascia, Nicola da Perugia, Grazioso da Padova tra altri, testimoniano luoghi di provenienza o di attività diversi.
I lavori di alcuni musicisti dell'epoca furono trascritti per strumenti. Questo è segno inequivocabile dell'emancipazione del musico trecentesco, che va assumendo sempre più una dimensione professionale esclusiva.

QUALCHE TERMINE

SEQUENZA

La sequenza nasce dalla creazione di nuove melodie che potevano sostituirsi allo jubilus finale dell'Alleluia cantato nella messa che si prestava benissimo allo scopo essendo puramente vocalizzato.
Per ricordare meglio le lunghe melodie si pensò di collegarle a un testo sillabico, prima in prosa, poi in poesia; un monaco di San Gallo, Notker Balbulus (seconda meta del IX secolo) ricorda in una sua lettera come applicò questa tecnica. Ben presto l'uso delle sequenze dilagò e ne furono scritte nei monasteri di tutta l'Europa occidentale.
Dopo un periodo intermedio, si ha nel corso del XII secolo un'ampia fioritura di sequenze per le quali si compongono insieme testo e musica, e nelle quali il ritmo poetico del primo e definitivamente affermato.
L'esecuzione delle sequenze era corale i cantori si dividevano in due gruppi, cantando assieme solo il primo e l'ultimo verso; le rimanenti coppie di versi, venivano cantate alternativamente dai due semicori.

TROPO

Per quanto riguarda il tropo si ha un'esplosione di invenzione poetico-musicale ancora maggiore: esso è una vera e propria farcitura del gregoriano codificato, consistente nell'intercalare principalmente ai canti della Messa un materiale totalmente nuovo. Alcuni tropi sono particolarmente importanti perché da essi nascono nuove forme musicali: dramma liturgico, conductus, organum.
Esempio classico del primo è il dramma pasquale della Resurrezione, che ha origine dal tropo Quem quaerilis... («Colui che cercate...») rivolto dall'angelo alle Marie che si recano al sepolcro ormai vuoto di Cristo. Dall'evoluzione di esso, nasce un dramma liturgico con personaggi diversi e nuova musica. Altri argomenti di drammi sono quelli legati al Natale, alla Passione, a temi tratti da libri del Vecchio Testamento. Queste sacre rappresentazioni erano particolarmente diffuse sui sagrati delle chiese in Francia e in Italia; vi si utilizzavano anche parti di testo in volgare, forse per caratterizzare personaggi popolari.

SCALA

Si dice scala una successione di suoni ordinata in senso ascendente o discendente all'interno dello spazio di un'ottava. Culture musicali diverse hanno utilizzato per la loro musica scale diverse. Quelle della musica scritta occidentale sono formate da sette suoni; i loro diversi rapporti hanno dato origine a due modi: quello maggiore e quello minore. La successione dei toni e dei semitoni nel primo di essi è: T-T-ST-T-T-T-ST. Le note che compongono la scala si chiamano anche gradi, e il rapporto di mezzo tono (o semitono = ST) esistente tra il terzo e il quarto grado e il settimo e il primo è ben visibile su una tastiera eseguendo la scala maggiore che parte dal do: tra il mi e il fa e tra il si e il do si vede che non c'è di mezzo un tasto nero. Tra il do e il re invece esso è presente, per cui la distanza fra queste due note è di un tono (T), che è la somma appunto di due semitoni. Il semitono è la distanza più piccola fra due note eseguibile su una tastiera: nel sistema temperato che si è affermato in Occidente a partire dal secolo XVII i dodici semitoni dell'ottava sono uguali fra loro (la scala che li comprende tutti si chiama scala cromatica), ciò permette la completa trasponibilità delle scale tonali e il passaggio da una scala all'altra mediante la modulazione.
In una scala tonale ogni nota ha una funzione anche come generatrice degli accordi che su di essa vengono costruiti, particolare importanza ha il primo grado che costituisce il punto di riferimento di un brano musicale e da cui parte la scala base su cui esso è costruito: dire che una sonata è «in fa maggiore» vuol significare che il compositore ha scritto il suo lavoro utilizzando prevalentemente i suoni di quella scala e che, se si tratta di un brano classico, esso inizierà e terminerà con l'accordo costruito sul primo grado di essa, ossia sul fa.
Per quanto riguarda il modo minore le cose sono un po' più complesse; la disposizione dei toni e dei semitoni è in questo caso la seguente: T-ST-T-T-ST-T-T. Essa è stata di solito seguita quando la scala funziona in senso discendente; in senso ascendente la sensibilità affermatasi nel corso del Rinascimento, ha fatto sì che il settimo grado (il cui nome è sensibile) si sistemasse ad un semitono dalla tonica, dando origine a quella che è stata chiamata scala minore armonica, così detta perché è a partire dalle note di essa che si generano gli accordi più usati nel modo minore; dal punto di vista melodico però la sua realtà, specie per quanto riguarda la musica vocale, è stata quasi nulla, in quanto in essa, tra il sesto e il settimo grado, si viene a formare un intervallo di un tono e mezzo (detto anche seconda eccedente) che, utilizzato senza alcun problema dalle civiltà estranee a quelle dell'Europa occidentale, era qui sentito come difficile e anomalo. Nacque allora una nuova scala, detta minore melodica, appunto perché il suo impiego soddisfaceva la tendenza ad utilizzare nelle melodie vocali esclusivamente intervalli di tono e di semitono. Questa scala discendendo ritorna naturale, perché il problema della sensibile in questo caso non esiste più; ma non sempre: Bach e altri suoi contemporanei utilizzarono talvolta la scala melodica anche discendendo (scala di sach). Come si vede il concetto di scala anche limitando il discorso alla musica tonale, varia ampiamente a seconda della sensibilità delle diverse epoche.
Al di fuori dell'ambito tonale le scale in uso si sogliono definire genericamente modali, intendendo con ciò alludere a scale i cui suoni si dispongono in modo diverso nello spazio d'ottava, rispetto a quelle tonali. Citiamo le scale della Grecia antica e quelle gregoriane, codificate in otto modi a seconda dell'estensione e della funzione dei suoni nell'ambito da esse ricoperto.
Nel corso del secolo XX sono state utilizzate scale spesso derivate da quelle etniche, non solo per fare colore, ma anche e soprattutto per comporre in modo diverso da quello tradizionale.
Esiste così ad esempio una scala esatonale, con sei suoni distanziati uno rispetto all'altro di un tono, ed una scala octofonica (otto suoni variamente disposti nell'ambito dell'ottava), quella dei blues, con il terzo e il settimo grado variabili.

POLIFONIA

Il concetto di polifonia implica nel suo significato più generale, l'esistenza di due o più parti vocali o strumentali che si evolvono contemporaneamente. Al concetto di polifonia si oppone quello di monodìa, che in senso stretto è pertinente ad una pura linea melodica esente da accompagnamento. Tra l'una e l'altra stanno pratiche musicali come quella del bordone d'accompagnamento semplice o multiplo, che costituisce una base statica ad una linea melodica, e quella dell'eterofonìa, in cui una melodia viene eseguita da una voce, mentre un'altra voce o strumento all'unisono o all'ottava le girano intorno improvvisando varianti melodiche che si discostano in modo variabile dalla melodia base.
Di queste pratiche sono esempio le musiche popolari per cornamusa, i supposti accompagnamenti alle melodie trovadoriche, la musica indiana per sitar e tampura (strumenti a corde della famiglia dei liuti) nel primo caso, l'antica musica greca e le melodie orientali accompagnate da strumenti a fiato nel secondo.
La pratica polifonica caratterizza la storia della musica occidentale popolare e colta ma non è l'unica. Nell'ambito di musiche etniche si riscontrano procedimenti polifonici anche molto sviluppati, come nella musica vocale centrafricana e in quella strumentale giavanese.
è fuor di dubbio però che la ricchezza di sviluppi testimoniata da documenti scritti dal X secolo ad oggi, è propria della civiltà musicale europea e di quelle extraeuropee da essa derivate. Nel XIII secolo era ormai normalmente praticata e scritta la composizione a quattro parti come la si può vedere nei quadrupla (organa a quattro voci) di Perotinus. Nel Trecento le tecniche polifoniche sono in pieno sviluppo, e durante il Rinascimento la polifonia si avvale delle più elaborate tecniche contrappuntistiche. La polifonia strumentale è in questo periodo, un riflesso di quella vocale, essendo la produzione puramente strumentale collegata con la musica di danza.
Nel corso del Barocco si pone invece sullo stesso piano di quella vocale, sviluppando caratteristiche proprie. In questo periodo si attua poi una stretta fusione tra lo sviluppo dell'armonia collegato appunto all'epoca del basso continuo (fino a circa metà del Settecento), e tecniche polifoniche.
La presenza di un'armonia più ricca e organizzata permette una polifonia più variegata. Successivamente gli sviluppi più interessanti sono di natura prevalentemente armonica, ossia collegati con una polifonia attenta allo sviluppo verticale più che a quello delle combinazioni orizzontali. Tuttavia l'elaborazione nella forma sonata sarebbe stata impossibile senza la capacità di sovrapporre più linee indipendenti.
L'evoluzione parallela e contemporanea di più elementi tematici fa parte integrante del sinfonismo tardo ottocentesco, segnatamente di musicisti come Bruckner, Mahler, Strauss e, nel campo operistico, di Wagner che riesce a fondere su basi drammatiche, un nuovo sviluppo dell'armonia con un libero uso di sovrapposizioni lineari procedenti ad ondate successive e spesso ininterrotte.
Nel Novecento, giunta l'armonia ad un grado di evoluzione esplosivo, la polifonia diventa estremamente intricata e, sfuggendo ad un codificato controllo armonico, molto libera. Melodie di gruppi di suoni in movimento si intersecano con linee singole e con armonie continuamente cangianti, essendo data grandissima importanza al timbro come elemento organizzatore dei diversi piani sonori; è nell'opera di Berg che si possono forse trovare gli esempi più validi di un tale modo di procedere.
Successivamente, sia per l'avvento delle tecniche dodecafoniche, che per la spinta delle estetiche neoclassiche, la scrittura si semplifica e procede per linee spesso duramente sagomate.
Autori anche di diverso orientamento stilistico come Hindemith, Sostakovic, Dallapiccola, utilizzano procedimenti contrappuntistici barocchi rivisitati. A partire dagli anni Cinquanta la polifonia torna ad essere densa e si allarga spesso agli strumenti a suono indeterminato, investendo ovviamente in questo caso solo l'aspetto timbrico e ritmico dei parametri sonori.
Musicisti come Stockhausen, Nono, Donatoni e Ligeti, hanno provato che la polifonia costituisce ancor oggi la chiave di volta di un mondo sonoro pur così lontano da quello che la vide comparire.

CONTRAPPUNTO

Tecnica musicale consistente nel sovrapporre due o più parti melodiche indipendenti osservando procedimenti variabili a seconda delle epoche e delle scuole musicali.
Le prime esemplificazioni chiare sul contrappunto si trovano in un trattato anonimo del X secolo, la Musica Enchiriadis, e descrivono come, sopra una linea melodica desunta dal gregoriano, si possa sovrapporre nota contro nota un'altra parte all'ottava, alla quinta o alla quarta; ne deriva un tipo di polifonia (organum), in cui le parti hanno un'indipendenza fittizia, perché i movimenti sono strettamente paralleli. Nell'organum cosiddetto libero, descritto sempre nel medesimo trattato, la voce inferiore che accompagna la melodia gregoriana, si muove in un modo un poco più indipendente: le due parti iniziano e finiscono all'unisono, soffermandosi preferibilmente sull'intervallo di quarta, ma formando anche di passaggio intervalli di seconda e di terza.
Nel corso dell'XI secolo si fa strada un principio destinato a grande sviluppo: quello del moto contrario, enunciato chiaramente dal teorico inglese Johannes Cotton, e utilizzato ormai con una certa sistematicità nelle superstiti raccolte dell'epoca. Questa tecnica, che prende il nome di discanto, viene chiaramente illustrata in un trattatello francese che ha appunto come titolo Quinconques veut deschanter (XIII secolo).
In questo periodo si va affermando anche la possibilità di utilizzare il canto originario (vox principalis) come basso, aggiungendovi sopra una melodia (vox organalis): si pongono cosi le basi per l'uso del cantus firmus o tenor, secondo una tecnica che sarà utilizzata attivamente fino al XVI secolo. Viene anche sperimentata la possibilità di contrapporre ad una sola nota in una parte, due o tre note nell'altra, aumentandone così l'indipendenza. Agli inizi del XII secolo tale pratica darà origine all'organum melismatico (dal greco mèlis = «canto») in cui a lunghe note nella parte inferiore (quelle della melodia gregoriana, ormai ridotte ad una pura serie di suoni di sostegno), sono sovrapposte sequenze molto ricche nella parte superiore, ora totalmente indipendente.
Contemporaneamente a queste tecniche contrappuntistiche del continente, in Inghilterra se ne venivano sviluppando di simili, che però utilizzavano come intervalli preferiti la terza, e le terze e seste se il canto era a tre voci; sono tecniche note come gymel e discanto inglese; questi rapporti si imporranno nei movimenti paralleli di parti nel corso del Quattrocento.
A cavallo fra il XII e il XIII secolo, nell'ambito della scuola di Notre-Dame a Parigi, viene talvolta utilizzato in composizioni a quattro voci un principio che sarà di capitale importanza per lo sviluppo del contrappunto: quello di scambiare due melodie tra due diverse voci intersecantesi tra loro.
In un brano a sei voci, della prima metà del XIII secolo, Sumer is icumen in (= «L'estate arriva»), si trova invece praticato un importantissimo artificio contrappuntistico: quello del cànone; mentre le due voci inferiori cantano alternandosi una breve frase musicale, le quattro voci superiori entrano una dopo l'altra cantando lo stesso motivo. Nel Medio Evo esistono già quindi, sebbene in uno stadio di sperimentazione, tutti i procedimenti del cantare a più voci che verranno, con modifiche anche radicali, utilizzati in seguito. Nel corso del Trecento si metteranno a punto raffinati procedimenti costruttivi, quali quelli che si riscontrano nei mottetti di Machaut. Mentre nel Medio Evo si procedeva per linee stratificate, con un forte gusto per l'ornamentazione, nel corso del Rinascimento si assiste all'utilizzazione del contrappunto con funzione unificatrice dell'intera composizione, in cui le diverse parti stanno in stretta relazione fra loro nella conquista di una sempre maggiore pienezza di suono, legata all'utilizzazione delle triadi complete. L'alternarsi delle voci che riprendono in imitazione (libera o rigorosa) i diversi spunti melodici, l'utilizzazione delle dissonanze e delle consonanze come adatte a creare tensioni e distensioni, costituiscono le tecniche compositive di base con cui lavorano generazioni di musicisti da Dufay a Monteverdi.
Nel periodo barocco il contrappunto venne assumendo un volto diverso: si utilizzano procedimenti armonici e melodici ripetitivi, e assume grande importanza il principio del contrappunto invertibile a due o più parti. Esso è congegnato in modo che due o più elementi tematici possano essere inseriti in ogni parte, acuta, intermedia o grave, senza che l'armonia abbia a soffrirne: così vengono trattati nella fuga, il soggetto e il controsoggetto.
Nel corso dell'Ottocento il contrappunto venne in genere sentito come un fatto accademico ed usato solo sporadicamente in modo creativo. Procedimenti contrappuntistici veri e propri (e non genericamente polifonici su basi armoniche), si ebbero nuovamente nel Novecento, quando, specie nel periodo dopo la prima guerra mondiale, si ricominciò ad avere interesse per le sovrapposizioni lineari: Busoni, Hindemith, Milhaud, Honegger, Bartòk, Casella, scrissero composizioni contrappuntistiche in cui le diverse parti si muovono, l'una rispetto all'altra, con una grande libertà, derivata dall'emancipazione della dissonanza fortemente generalizzata. Essa diviene totale nell'ambito delle tecniche dodecafoniche, che seguono metodi compositivi legati ai procedimenti del più elaborato contrappunto. è nelle opere di Webern, in quelle degli anni Cinquanta di Stockhausen e Boulez che si possono rintracciare gli ultimi esiti di una scrittura per sovrapposizioni lineari, che non di rado diventano sovrapposizioni puntuali, collegandosi così all'antico concetto di punctum contra punctum.

NOTAZIONE

Per notazione si intende tutto l'insieme dei segni attraverso i quali un brano musicale può essere fissato sulla carta, essa è l'espressione grafica delle esigenze compositive e si è sviluppata al mutare di quelle. La possibilità di rendere ripetibile un testo musicale, ossia di renderlo indipendente da una tradizione orale è stata, insieme con lo sviluppo dell'armonia, la grande forza della musica occidentale.
Già nell'antichità classica vi furono tentativi di notazione; non più che labili tracce presso i Babilonesi, gli Egiziani e i Cretesi, mentre per i Greci abbiamo una trattazione completa e sistematica anche se corredata da pochi documenti musicali. I Greci utilizzavano le lettere dell'alfabeto variamente modificate per indicare l'altezza dei suoni, mentre per suggerirne la durata sovrapponevano ad alcune di esse linee e punti. L'idea di utilizzare le lettere per indicare i suoni venne mantenuta dai Romani, Boezio (480 ca.-526) la sistematizzò usando i segni dell'alfabeto latino.
Nei secoli successivi si sviluppò in Occidente un sistema di notazione che molto probabilmente derivò dall'uso, di indicare con gli accenti acuto e grave l'innalzarsi e l'abbassarsi della voce sulle diverse vocali del testo da cantare. I segni chiamati neumi, furono all'inizio (nei IX secolo) disposti su un'unica immaginaria linea; in seguito si cercò di suggerire meglio l'andamento della melodia disponendoli un po' più in alto o un po' più in basso a seconda che la voce dovesse scendere o salire.
Decisiva per una precisa nozione dell'altezza di un suono scritto fu l'adozione verso la fine del X secolo di uno o due righi colorati o a secco, all'inizio dei quali veniva posta una lettera chiave come punto di riferimento per la lettura; le linee indicavano soprattutto la posizione del fa o del do. Se questa notazione è abbastanza soddisfacente per un canto ad una voce sola, come è quello gregoriano, non lo è più per il canto a più voci, che pone il problema di fissare sulla carta suoni concomitanti di diversa altezza.
A partire dal IX secolo si susseguono diversi tentativi. Uno fu quello di inserire le sillabe da cantare in un sistema di righi alla sinistra dei quali speciali lettere indicavano l'altezza e gli intervalli, altri riutilizzavano le lettere della notazione fissata da Boezio oppure i neumi in campo aperto. Nel corso del secolo XII si impose, pare per merito di Guido d'Arezzo (992 ca. - 1050), il rigo musicale a quattro linee che permise di inserire tutti i suoni di una melodia in un preciso sistema di riferimento. Nel frattempo però il progressivo differenziarsi ritmico delle due voci che costituivano la polifonia, poneva sempre più urgentemente la necessità di sovrapporre con chiarezza le parti, dando un significato ritmico ai diversi neumi. Essi, inizialmente filiformi, si erano nel frattempo trasformati proprio in seguito all'adozione del rigo, in segni molto più corposi che, per la loro caratteristica, vengono designati come notazione quadrata. è a questo tipo di neumi che viene applicata un'interpretazione ritmica che è ispirata alla poesia classica, col suo alternarsi di vocali lunghe e brevi; viene indicata come notazione modale la scrittura che ne deriva. è questa la notazione utilizzata dai compositori della scuola di Notre-Dame, fra i secoli XII e XIII.
Fu compito dei teorici e dei compositori della generazione seguente dare sviluppo alla notazione mensurale, nell'ambito della quale diminuirono a poco a poco le ambiguità di interpretazione ritmica presenti nella notazione precedente. Aumentarono i simboli grafici delle note, si indicarono le pause. Sotto la spinta dell'evoluzione del mottetto si introdussero nuove possibilità di suddivisione delle note più lunghe in altre di valore minore. Francone da Colonia e Petrus de Cruce furono coloro che maggiormente si impegnarono in quest'opera.
Nel corso del Trecento in Italia e in Francia entrarono in uso vari segni mensurali che, posti all'inizio della composizione, indicavano il tipo di rapporto esistente nel brano fra i valori lunghi e quelli brevi; a questi segni si possono far corrispondere le moderne indicazioni di battuta. Le variazioni ritmiche nei riguardi della norma indicata sono spesso rappresentate con note rosse, che in seguito diventarono bianche, dando origine all'alternarsi delle note bianche e nere. Spesso si incontrano i segni di alterazione (bemolle, diesis e bequadro) già sporadicamente utilizzati in precedenza. Nei secoli XV e XVI si afferma la notazione bianca, indicando le note nere i valori più piccoli o variazioni ritmiche in deroga alla normale suddivisione.
Con l'inizio del Cinquecento l'uso della stampa portò ad una standardizzazione delle figure, che rimasero però a forma di losanga. Nel frattempo l'emancipazione dello stile strumentale da quello vocale, aveva portato alla necessità di sviluppare una notazione adatta, che si concretizzò nelle intavolature, specie di stenografia musicale che utilizza segni speciali, numeri e lettere al posto delle note. Essa fu variamente utilizzata per il liuto, il clavicembalo e l'organo, fino all'epoca di Bach quando decadde rapidamente. Compaiono qui le stanghette di battuta.
Nel corso del Seicento a poco a poco entrano nell'uso le indicazioni di dinamica, piano e forte, segno di una maggiore attenzione dei compositori all'intensità del suono, agevolata dal parallelo sviluppo di strumenti più duttili. A differenza di quanto avveniva per la musica vocale, già nel Cinquecento si pubblicarono partiture con la completa stesura degli strumenti sovrapposti invece che, come d'uso, a parti staccate. Nel corso del Seicento le note assumono a poco a poco il contorno rotondo attuale.
Nel Settecento con l'aumentare delle esigenze espressive si sviluppa, specie nella musica strumentale, tutto un insieme di segni per indicare le modalità di esecuzione: segni diversi di legato, staccato, crescendo, diminuendo dimostrano la preoccupazione dei compositori di lasciare sempre meno spazio all'approssimazione e all'improvvisazione.
Nel corso dell'Ottocento si moltiplicarono le didascalie, specie per l'influenza del pensiero romantico tendente ad unire musica e letteratura. Indicazioni relative alla produzione del suono diventarono sempre più fitte finché nel Novecento si fecero accuratissime, specie nei musicisti della scuola di Vienna. A partire dagli anni Cinquanta le nuove tecniche esecutive e il nuovo largo spazio accordato all'improvvisazione, hanno portato all'impiego di nuovi simboli e ad un altro tipo di scrittura anche molto personalizzato; talvolta simboli puramente grafici stimolano un'interpretazione sonora, mentre in altri casi una pura scrittura d'azione (che cosa si deve fare, non ciò che si otterrà) ricorda un poco lo spirito delle intavolature.
Nella musica leggera permane l'uso di indicare la nota base di un accordo (spesso espresso con lettere, secondo la tradizione anglosassone che continua quella medievale) accompagnata da numeri secondo la pratica del basso continuo per suggerire la realizzazione degli accordi.

FROTTOLA

La frottola (diminutivo da frotta = «mucchio di piccole cose») è un componimento musicale in cui primeggia la voce superiore e dove il basso svolge funzioni armoniche di sostegno mentre le parti centrali danno vita ad un limitato sviluppo contrappuntistico, le tre voci inferiori potevano comunque essere eseguite sia da voci che da strumenti (o anche da un solo strumento, il liuto).

MADRIGALE

Il madrigale (forse dal latino tardo matricalis = «appena uscito dalla matrice» e quindi «semplice») è una composizione musicale tipica del Rinascimento italiano.
A differenza di quella della frottola, la forma del madrigale è libera e tende ad allineare spunti musicali continuamente rinnovati in relazione ai diversi motivi poetici del testo. Diffusissimo tra la colta società italiana, viene a poco a poco coltivato da tutti i musicisti europei.
Evolve da una prima fase (in cui le voci entrano una dopo l'altra solo all'inizio), ad una successiva, nella quale rapporto col testo e gioco polifonico fra le voci trovano un giusto equilibrio. Il numero classico delle voci di un madrigale è di cinque, da considerarsi come voci soliste più che corali.

Fuori d'Italia, troviamo altre forme polifoniche, fra cui la chanson parigina nella quale le voci procedono preferibilmente con lo stesso ritmo e i cui testi accolgono spunti che permettono un'interessante animazione musicale; Clément Janequin (1485 ca. - 1558) mette in musica Il canto degli uccelli, Le grida di Parigi (quelle dei venditori), La battaglia di Marignano.
Di interesse tutto speciale quanto viene scritto nei Paesi tedeschi. Accanto alla produzione artigianale dei Maestri cantori, si ha la fioritura del Lied, canto popolare o di corte, le cui melodie vengono prese come base per composizioni polifoniche comprendenti voci e strumenti, che verranno utilizzate da Lutero. A partire dallo storico giorno (31 ottobre 1517) in cui affigge le sue tesi alle porte del Duomo di Wittenberg, egli cerca di creare un repertorio di musica religiosa che consenta ai fedeli di partecipare attivamente alle funzioni. Da qui il tedesco al posto del latino, l'uso di melodie conosciute sia di origine profana che gregoriana, la semplice armonizzazione delle stesse, nota contro nota. Compositore e strumentista egli stesso, Lutero, a differenza di Calvino, coltiva anche in ambito domestico la musica di cui è convinto estimatore.
Com'è noto la chiesa di Roma cercò di correre ai ripari, e nel Concilio di Trento (1545-1563) venne suggerito ai compositori di limitare l'uso della polifonia imitativa, per poter meglio comprendere il testo; di usare scale più aderenti a quelle proposte dai modelli gregoriani; di eliminare melodie o composizioni profane quali basi delle messe. A queste prescrizioni i compositori si adeguarono solo in parte, ricorrendo anche a trucchetti come quello di non scrivere sulla carta le note alterate estranee al gregoriano, ma di introdurle nell'esecuzione pratica o di indicare come «Sine nomine» una messa che celava in realtà un tenor profano. Il latino restò comunque la lingua ufficiale della liturgia e venne riconosciuta e nuovamente esaltata la professionalità dei musicisti che componevano le varie cappelle musicali.
Nel quadro della Controriforma si svolge l'opera del massimo tra gli autori di musica sacra del pieno Cinquecento: Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Intorno a Palestrina si raccolgono numerosi musicisti, originando quella che viene indicata come Scuola romana. Nell'altra grande scuola italiana del Cinquecento, la Scuola veneta, la Controriforma stimola invece una produzione che ha nel colore, nello sfarzo delle masse strumentali e corali il fascino maggiore. Questa concezione musicale, è inizialmente dovuta all'opera di due fiamminghi: Adriano Willaert e Cipriano de Rore. Il primo sviluppò in maniera compiuta la tecnica dei «cori spezzati»: in S. Marco c'erano due organi ad ognuno dei quali poteva associarsi un gruppo di cantori; diventò così possibile dar vita ad una sorta di stereofonia naturale scrivendo in modo che i cori si rispondessero, riunendosi solo nelle parti iniziali e finali con una sonorità piena e solenne.
è tuttavia nell'opera di Andrea e Giovanni Gabrieli (zio e nipote), che la Scuola veneta raggiunge il suo massimo. I Salmi penitenziali del primo (1510 ca. - 1586) sviluppano il gioco associativo fra voci e strumenti; solo strumentale è l'Aria della battaglia per sonar d'istrumenti da fiato. Il nipote Giovanni (1557 ca. - 1612), sviluppa a fondo questo stile concertato; compare talvolta (ed è una novità) l'indicazione di quali siano gli strumenti da adoperare. La Sonata pian e forte specifica per la prima volta le dinamiche da impiegare: all'interesse per l'imitazione si sostituisce quello per il contrasto di blocchi sonori.
I musicisti fiamminghi non cessano di essere attivi sulla scena europea: uno di loro, della generazione successiva a Willaert, Orlando di Lasso conosce una fama internazionale.
Nel tardo Cinquecento, la produzione madrigalistica italiana si arricchisce per merito di Luca Marenzio (1553 ca. - 1599) e Gesualdo da Venosa (1560 ca. - 1613). Entrambi autori di musica profana (nessuno dei due scrive messe), si differenziano per l'essere il primo compositore equilibrato e raffinato che, pur utilizzando spunti melodici descrittivi, tende a integrarli nell'insieme; il secondo invece, rompe quest'equilibrio, esasperando l'espressione dei sentimenti mediante concatenazioni di accordi e movimenti di parti sempre tesi e tormentati; lo scardinamento dell'equilibrio rinascimentale preannuncia la sensibilità del Barocco.
Un curioso episodio legato alla produzione madrigalistica tra fine Rinascimento e Barocco, è quello del madrigale drammatico (o dialogico o rappresentativo che dir si voglia), che è chiaramente il tentativo da parte di un genere in via di esaurimento di rispondere all'incalzare di quella novità che era allora il melodramma. Nel madrigale drammatico, senza scena alcuna, vengono descritte situazioni, raccontate tenui vicende, disegnate figure popolari, satireggiati usi e costumi dell'epoca, parodiate musiche serie, mescolando linguaggi e stili musicali nello spirito della contemporanea commedia dell'arte, della quale vengono utilizzate le maschere più note. Tra i più divertenti esiti di questa particolare produzione ci sono: L'Amfiparnaso di Orazio Vecchi, La pazzia senile e Il festino della sera del Giovedì grasso di Adriano Banchieri.
Un po' in ombra, ma parallelamente alla produzione vocale e favorita dallo sviluppo delle tecniche esecutive e costruttive, si sviluppa la musica strumentale. Dalle danze nascono le variazioni su un tema e le prime embrionali forme di suites (dal francese = «susseguirsi» di musiche per danza); feste, matrimoni, rappresentazioni teatrali, si arricchiscono di interventi cantati e danzati, con ricche scenografie.