LA MUSICA NEL MONDO CLASSICO
La musica della
Grecia antica ha per noi un certo interesse, non di per sé (ne sappiamo
pochissimo), ma in relazione all'influenza che le idee su di essa espresse e
certi aspetti tecnici (che invece ci sono noti), hanno avuto sulla musica di
tempi successivi.
Per i Greci il termine musica aveva un significato molto
vasto: comprendeva infatti la poesia, la danza, la ginnastica accanto a
ciò che riguardava più da vicino il canto e le tecniche
strumentali; aveva quindi parte importante nell'educazione e nel costume.
Chiunque conosca anche solo un po' i poemi omerici, ricorderà come le
allusioni musicali vi abbiano ampio spazio; persino un personaggio come Achille
viene descritto nell'atto di cantare accompagnandosi con la phorminx (strumento
a corde del tipo della lira).
Compare la figura del cantore professionista
che dà lustro a una reggia e interviene a rallegrare (ma anche a
nobilitare) i banchetti dei nobili. I canti, solistici o corali, venivano
accompagnati da strumenti a corda, cetre, o a fiato, aulos. è importante
sottolineare che il concetto di polifonia e di accordo fu totalmente sconosciuto
ai Greci.
Successivamente al periodo di Omero (i cui poemi non venivano
cantati), la produzione poetica è sostanzialmente legata al canto:
solistico nel caso di quella lirica, privata e raffinata; corale nel caso di
quella occasionale legata ai momenti della vita pubblica.
In questo
periodo, e per qualche secolo ancora, la musica rimase comunque affidata alla
tradizione orale, ossia non si scriveva. Importanza particolare ebbero quindi
certe formule, certe strutture musicali chiamate nòmoi, (dal greco
nòmos che in origine indicava una «divisione» amministrativa o
territoriale) le quali, per essere di relativamente facile memorizzazione,
potevano essere usate come base per il canto o per la musica
strumentale.
Ai nòmoi è legato il nome di un mitico
musicista, Terpandro, che ne fece la base del suo insegnamento, portando anche
la lira da quattro a sette corde (per lo meno questo fatto gli è
attribuito); siamo a Sparta nel VII secolo e proprio questa città,
ritenuta così rigida e austera, diventa in questo lungo periodo la
capitale della musica greca. Ad Atene, la musica assume importanza a partire
dalla metà del VI secolo, quando si ha un movimento di rinnovamento
legato al culto di Dioniso, che viene incoraggiato da Pisistrato. Attraverso
l'istituzione di gare poetico-musicali il cui genere principale era costituito
dal ditirambo (appunto in onore di Dioniso), i nòmoi si
modificano.
Più o meno nello stesso periodo Pitagora raccoglie
intorno a sé a Crotone, una scuola in cui la musica ha la sua importanza.
Sia dal punto di vista sperimentale che dal punto di vista speculativo elabora
concetti e idee che avranno il loro peso per secoli: misurazione degli
intervalli semplici (ottava, quarta e quinta), costruzione delle scale musicali,
teoria della catàrsi (dal greco kathàirein =
«purificarsi» attraverso la musica), idea della «musica delle
sfere» prodotta dagli astri nei loro movimenti.
All'età di
Pericle (seconda metà del V secolo) risalgono precise documentazioni
sulle prese di posizione di filosofi, poeti e politici di fronte alla musica:
innovatori e tradizionalisti si affrontano; le polemiche tra nuovo ed antico
trovano un'eco nelle opere di Aristofane, il ben noto poeta e commediografo.
Platone prima e Aristotele poi, mostrano di apprezzare la musica soltanto se
essa si mantiene subordinata alla poesia, se mantiene un carattere sanamente
educativo e se non viene affidata a musici di professione.
In conseguenza
della maggior complessità delle strutture ritmo-melodiche, si sente la
necessità di scrivere la musica, che prima era tramandata oralmente. Che
cosa ci resta di queste musiche? Pochissimo: due inni delfici e il cosiddetto
Epitaffio di Sicilo; altri inni (alla Musa, al Sole e alla Némesi)
attribuiti a Mesòmede (II secolo d.C.); alcuni frammenti su papiri
diversi di musica vocale e strumentale (importanti quelli contenenti alcuni
versi con musica dell'Oreste e dell'Ifigenia in Aulide di Euripide). è
tutto.
Per quanto riguarda il mondo romano le cose sono andate anche
peggio: non abbiamo neppure una nota. Numerose sono le testimonianze
sull'impiego della musica negli spettacoli teatrali e sull'adeguamento di
teorici e musici a quanto proveniva dalla Grecia; in campo musicale la
personalità dei Romani è stata nulla.
GLI STRUMENTI
Si può affermare che da sempre
l'uomo ha cercato di utilizzare i materiali più elementari con cui
è venuto a contatto (pietre, legni, pelli, canne) per produrre suoni
determinati o indeterminati.
Enorme è quindi il numero degli
strumenti musicali inventati nel corso dei tempi e in relazione a diverse aree
culturali e geografiche; l'insieme di essi costituisce una delle più vive
testimonianze della creatività umana.
Una classificazione che cerca
di inquadrare in modo unitario non solo gli strumenti dell'orchestra occidentale
e colta, ma anche quelli della musica etnica e popolare, è stata proposta
proprio dagli etnomusicologi, secondo i quali si possono stabilire cinque grandi
classi di strumenti.
1) Idiofoni (dal greco ìdios =
«particolare» e phoné = «suono»), nei quali è
globalmente il materiale stesso di cui è costituito lo strumento ad
entrare direttamente in vibrazione. Rientrano in questa classe tutti quegli
strumenti usualmente indicati come «a percussione», ad eccezione di
quelli che utilizzano pelli tese. Rientrano in questa classe piatti, nacchere,
triangoli, vibrafono, xilofono, gong, maracas, scacciapensieri, campane e una
grandissima quantità di strumenti di origine etnica.
2)
Membranofoni nei quali il suono è prodotto tramite la sollecitazione di
una membrana tesa su una superficie che funge da risuonatore. Vi appartengono il
timpano e le varie specie di tamburi.
3) Cordofoni, nei quali il
suono è prodotto dalla messa in vibrazione di una corda tesa,
opportunamente collegata con una cassa armonica. Si considerano qui diverse
sottoclassi di ineguale importanza.
a) Cetre, nelle quali le corde sono
tese parallelamente ad una cassa armonica sprovvista di manico. Ne fanno parte
strumenti diversissimi, dal primitivo arco musicale, alla vina e al sitar
indiani, dal salterio al clavicembalo e al pianoforte.
Un sitar, la tipica chitarra indianab) Liuti, che sono provvisti di una
cassa armonica e di un manico distinto da essa. Comprendono sia i liuti veri e
propri che le chitarre, i mandolini e le famiglie del violino e delle viole da
gamba.
c) Lire, che comprendono gli strumenti dell'antica Grecia, nei quali
le corde decorrevano fra due bracci laterali, prolungamento della cassa posta in
basso, ed erano fissate in alto ad una traversa.
d) Arpe nelle quali le
corde formano un angolo, per lo più acuto, con la cassa
armonica.
4) Aerofoni, nei quali il suono è prodotto dall'aria
messa opportunamente in vibrazione. Nel caso più generale essa è
contenuta in un tubo e, a seconda di come viene messa in vibrazione, si
distinguono aerofoni ad imboccatura semplice (flauti), ad ancia semplice
(clarinetti e sassofoni), ad ancia doppia (oboi e fagotti) e a bocchino (trombe,
tromboni corni e tube). Gli strumenti appartenenti a queste famiglie vengono
nella pratica musicale spesso indicati come legni e ottoni, notiamo però
che il flauto, pur appartenendo ai legni assieme agli oboi, ai clarinetti e ai
fagotti, è normalmente oggi costruito in metallo.
Oltre a questi vi
sono altri aerofoni che comportano la presenza di un serbatoio d'aria, come la
cornamusa, la fisarmonica e l'organo. In altri strumenti come l'armonium e
l'armonica a bocca, la presenza di ance intonate e libere produce direttamente
il suono quando esse siano messe in vibrazione dall'aria su di esse
indirizzata.
5) Elettrofoni, nei quali il suono viene modificato o
prodotto con l'aiuto di circuiti elettrici. Si devono distinguere strumenti che
utilizzano i modi di produzione tradizionale trasformati elettricamente (ad
esempio la chitarra elettrica), da altri in cui il suono viene prodotto da una
fonte elettronica (trautonium, organo Hammond, onde Martenot,
sintetizzatori).
IL CANTO MONODICO
I canti dei Cristiani hanno un'importanza
particolare per la storia della musica: non ne abbiamo però esempi notati
per la bellezza di sette secoli; le prime notazioni neumatiche (dal greco pneuma
= «soffio», che per corruzione del vocabolo diventa neuma, segno
grafico che nella notazione gregoriana indica la nota) risalgono infatti
all'inizio del IX secolo.
Il canto cristiano tramandato per tradizione
orale non ci è quindi a rigore noto. Alla luce di questo fatto non
è ben chiaro che cosa veramente debba a papa Gregorio Magno il canto
detto appunto «gregoriano». Prima si erano affermati vari stili:
bizantino in Oriente, ambrosiano nella diocesi di Milano, gallicano in Francia,
mozarabico in Spagna e, naturalmente, un canto romano antico. Si avevano anche
vari modi di cantare. C'erano la cantillazione, ossia una lettura appena
intonata; la salmodia, ossia il canto dei salmi; lo jubilus (dal latino =
«giubilo»), canto senza testo che si esprimeva in lunghi vocalizzi, di
evidente derivazione orientale. C'era inoltre, l'innodia, ossia il canto degli
inni, componimenti di lode alla divinità, basati su brevi versi ben
ritmati, i più noti dei quali sono legati al nome di sant'Ambrogio,
vescovo di Milano (morto nel 397).
Gregorio Magno, pontefice fra il 590 e
il 604, sostanzialmente fa un'opera di sistemazione dei canti (o meglio dei loro
testi) preesistenti per ricondurre la liturgia ad una comune fonte codificata a
Roma. I caratteri del gregoriano si possono così sintetizzare: esecuzione
esclusivamente vocale, ritmica libera e fluida, senza alcun riferimento ad un
metro prestabilito; uso di scale modali (nelle quali i suoni si susseguono
secondo un rapporto diverso da quello delle scale maggiori e minori), due note
delle quali (la finalis e la repercussio o dominante) assumono particolare
importanza nell'ambito delle melodie.
Nel periodo carolingio il canto
gregoriano si uniforma alle direttive del papato, con l'appoggio
dell'autorità di Carlo Magno; la fissazione del repertorio, anche a
scapito degli stili locali, produce un inaridirsi delle possibilità
creatrici dei musicisti; dalla ricerca di un compromesso fra legalità e
creatività, nascono due nuove forme musicali: la sequenza e il
tropo.
Al di fuori della chiesa la gente che cosa cantava? La domanda
è legittima, e ci riporta al problema centrale della notazione: chi era
dotato della necessaria preparazione per cercare di fissare la musica sulla
carta, apparteneva al clero, in particolare agli ordini monastici, i quali
tramandavano ciò che ad essi interessava, escludendo quasi del tutto il
resto. Abbiamo quindi solo una pallida idea di ciò che, nello stesso
tempo, si veniva elaborando fuori del controllo della Chiesa.
C'erano i
canti dei goliardi, detti clerici vagantes per l'uso degli studenti di
trasferirsi da un'università all'altra: essi cantavano il vino, l'amore
fisico, il piacere della danza mescolando spesso al latino dell'epoca versi in
volgare: la più nota raccolta di questo tipo è quella dei Carmina
Burana.
Altri canti nascono nell'ambiente militare, come il Canto delle
scolte modenesi o quello sulla battaglia di Fontenoy. Altri sono intonazioni di
versi di autori latini o lamenti, sempre su testo latino, per la morte di nobili
personaggi, come il Planctus Karoli, per la morte di Carlo Magno. Il panorama
della musica profana monodica, è arricchito, più per quel che
riguarda il modo di far musica che per la musica in sé,
dall'attività dei giullari. Figura tra il cantore (ma sapeva anche
suonare uno o più strumenti), il giocoliere e il buffone di strada o di
corte, stabilmente domiciliato o vagante, il giullare aveva nel suo repertorio
anche la produzione dei trovatori e dei trovieri, per i quali bisogna fare un
discorso a parte.
La loro attività si pone tra il secolo XI e i
primi del XIII. Essi, attivi prevalentemente in Francia, poetano in lingua d'oil
o in lingua d'oc: la prima diede origine al francese moderno, mentre la seconda
raggruppava l'insieme dei dialetti provenzali del Sud della Francia. I trovatori
sono appunto i poeti-musicisti del Sud, che vengono solo in un secondo tempo
imitati da quelli del Nord, a loro volta definiti trovieri. Personaggi spesso di
nobile origine, avevano sede stabile presso le diverse corti: erano poi i
menestrelli a diffonderne le opere.
Tra i trovatori si ricordano Guglielmo
VII di Poitiers duca d'Aquitania, Bernart de Ventadorn, Raimbaut de Vaqueiras,
Jaufré Rudel; tra i trovieri Gace Brulé, Thibaut de Champagne e
Adam de la Halle, quest'ultimo compositore anche di musica a più voci,
nonché di una sorta di operetta di ambiente pastorale Le jeu de Robin et
de Marion, rappresentata alla corte di Napoli nel 1275 (o nel 1285). I temi
poetici erano quelli dell'amore cortese, l'incontro fra il nobile cavaliere e la
pastorella, la canzone della donna che fila attendendo il suo amore, il canto
della sentinella che veglia sull'incontro di due amanti, il canto di crociata.
Alcuni avevano sfondo politico o morale. Delle arie possediamo solo la linea
melodica; non c'è nulla di scritto per quello che riguarda gli strumenti
che come risulta dalle miniature dell'epoca accompagnavano il canto.
Nei
Paesi tedeschi, un po' dopo rispetto alla Francia, si ebbe una produzione
analoga a quella dei trovatori e trovieri: essa è dovuta ai Minnesinger
(o Minnesänger), così chiamati dal nome tedesco dell'amor cortese:
Minnie.
IL CANTO POLIFONICO
Parallelamente alla storia delle musiche ad
una sola voce, nasce un evento di importanza capitale per la storia della musica
occidentale: il canto a più voci, la polifonia. Le nuove forme
polifoniche si basano sul gregoriano; in un trattato della metà del IX
secolo e in commento ad esso, si trovano i più antichi esempi scritti di
polifonia: prendono il nome di organum.
In un altro tipo di composizione
polifonica dell'epoca, il conductus (in origine un canto processionale) le voci
procedono nota contro nota, il testo è unico e il tenor di solito di
libera invenzione. Queste due forme dominano la produzione del periodo tra il
1250 e il 1320. Sono anche di questo periodo le prime composizioni strumentali
non legate alla danza.
Tra il XII e il XIII secolo viene trovata la
possibilità di dare un ritmo, di poterlo fissare sulla carta, alle lunghe
sequenze di note della voce superiore dell'organum. Ciò avviene a Parigi
nell'ambito della cosiddetta Scuola di Notre-Dame, dal nome dell'omonima
cattedrale.
Due nomi emergono, quelli di Leoninus e di Perotinus, che
possono forse essere considerati i primi veri compositori della storia. Il primo
scrive organa a due voci, il secondo arriva a quattro (quadrupla), sovrapponendo
voce a voce. Come l'organum si abbarbica al canto gregoriano, ai tropi,
così l'invenzione poetico-musicale del mottetto mette radici nel terreno
dell'organum.
ORGANUM
Si tratta in questi primi esempi di un
canto a due voci: una melodia gregoriana viene accompagnata a distanza di
ottava, quinta o quarta da un'altra voce; altre volte il movimento è un
po' più libero, ma sempre nota contro nota e tendenzialmente parallelo:
la voce aggiunta è come l'ombra dell'altra. Ma in seguito, le voci
procedono per moto contrario, ossia quando una scende l'altra sale e viceversa.
Questo modo di procedere si impone gradatamente: nel Tropario di Winchester, un
manoscritto inglese della prima metà del secolo XI, lo si riscontra solo
sporadicamente. Accade invece regolarmente che la voce che riprende la melodia
gregoriana sia ora quella inferiore in funzione di sostegno. Questo prepara la
possibilità, attuata nel secolo successivo, di sviluppare con più
fantasia la voce superiore: questo tipo di organum è documentato a San
Marziale di Limoges in Francia e a Santiago di Compostela, in
Spagna.
MOTTETTO
Il nome di questa nuova forma musicale
deriva dal francese mot = «parola». Infatti esso nasce dall'aggiunta
di nuove parole alla seconda voce (duplum) di alcune sezioni degli organa, in un
secondo tempo si crea anche la parte musicale di questa seconda voce e se ne
aggiunge una terza. Fatto notevole, i testi aggiunti possono essere non solo
diversi fra loro, ma anche uno in francese e l'altro in latino e, infine, di
argomento sacro e profano contemporaneamente. La parte del tenor è
affidata ad uno strumento e infatti non porta più
testo.
TENOR
In riferimento alla musica polifonica il
termine indica una melodia di solito presa a prestito dal gregoriano o, meno
frequentemente, dal repertorio profano, e posta alla base di una nuova
composizione. Il termine tenor vuole indicare la presenza continua della voce
corrispondente che «teneva» suoni lunghi durante tutto il corso del
brano, (vedi gli organa dell'epoca di Notre-Dame). Il tenor (detto anche spesso
cantus firmus), subì poi trasformazioni tendendo a muoversi attraverso le
diverse voci. Nelle composizioni più antiche il tenor occupa sempre il
posto della voce più bassa.
In seguito si attesta in posizione
più centrale, essendo il basso affidato ad una nuova voce, detta appunto
contratenor bassus.
IL TRECENTO IN FRANCIA E IN ITALIA
Questo ribollire di invenzioni musicali,
scatena nella prima metà del Trecento serie polemiche tra progressisti e
tradizionalisti. Scende in campo in prima persona addirittura un papa:
dall'esilio di Avignone Giovanni XXII si scaglia infatti con una bolla contro le
novità della nuova musica che con i suoi rapidi valori di note misurate,
sempre più si allontana dal canto gregoriano. E proprio Ars nova si
chiama una specie di trattato-manifesto di queste nuove tendenze: lo pubblica
Philippe de Vitry, pressappoco nello stesso periodo (1320-1325) del decreto
papale. Il suo titolo darà il nome a tutta la produzione del XIV secolo
in Francia; per reazione, si definirà ars antiqua quella
precedente.
Nuove tecniche musicali vengono utilizzate nella stesura dei
mottetti, che sviluppano temi politici, satirici o celebrativi, mentre nascono
nuove forme come il rondeau, caratterizzato dalla ripresa di un identico tema,
il virelai e la ballade, con testi legati alla celebrazione dell'amore cortese.
Guillaume de Machaut (1300 ca. - 1377) poeta e musicista francese, è la
maggiore personalità dell'epoca. La sua Messa di Notre-Dame è la
prima organicamente e interamente composta da un solo autore.
In Italia la
nuova musica assume caratteristiche parzialmente indipendenti da quella
francese. Il Trecento italiano è caratterizzato da espressioni artistiche
musicali essenzialmente laiche. Dante, Petrarca, Boccaccio, parlano spesso di
musica nei loro scritti; testi degli ultimi due vengono musicati dai loro
contemporanei. Cacce, madrigali e ballate, sono le forme musicali maggiormente
praticate; esse erano interpretate, secondo le più attendibili ipotesi di
studio, da voci soliste sostenute da strumenti. è un'arte raffinata, che
non rifiuta però elementi popolareschi specie nelle cacce dove le voci
superiori si inseguono vivacemente fra loro. Fiorentino fu Francesco Landino, ma
i nomi di Jacopo da Bologna, Giovanni da Cascia, Nicola da Perugia, Grazioso da
Padova tra altri, testimoniano luoghi di provenienza o di attività
diversi.
I lavori di alcuni musicisti dell'epoca furono trascritti per
strumenti. Questo è segno inequivocabile dell'emancipazione del musico
trecentesco, che va assumendo sempre più una dimensione professionale
esclusiva.
QUALCHE TERMINE
SEQUENZA
La sequenza nasce
dalla creazione di nuove melodie che potevano sostituirsi allo jubilus finale
dell'Alleluia cantato nella messa che si prestava benissimo allo scopo essendo
puramente vocalizzato.
Per ricordare meglio le lunghe melodie si
pensò di collegarle a un testo sillabico, prima in prosa, poi in poesia;
un monaco di San Gallo, Notker Balbulus (seconda meta del IX secolo) ricorda in
una sua lettera come applicò questa tecnica. Ben presto l'uso delle
sequenze dilagò e ne furono scritte nei monasteri di tutta l'Europa
occidentale.
Dopo un periodo intermedio, si ha nel corso del XII secolo
un'ampia fioritura di sequenze per le quali si compongono insieme testo e
musica, e nelle quali il ritmo poetico del primo e definitivamente
affermato.
L'esecuzione delle sequenze era corale i cantori si dividevano
in due gruppi, cantando assieme solo il primo e l'ultimo verso; le rimanenti
coppie di versi, venivano cantate alternativamente dai due
semicori.
TROPO
Per quanto riguarda il tropo si ha
un'esplosione di invenzione poetico-musicale ancora maggiore: esso è una
vera e propria farcitura del gregoriano codificato, consistente nell'intercalare
principalmente ai canti della Messa un materiale totalmente nuovo. Alcuni tropi
sono particolarmente importanti perché da essi nascono nuove forme
musicali: dramma liturgico, conductus, organum.
Esempio classico del primo
è il dramma pasquale della Resurrezione, che ha origine dal tropo Quem
quaerilis... («Colui che cercate...») rivolto dall'angelo alle Marie
che si recano al sepolcro ormai vuoto di Cristo. Dall'evoluzione di esso, nasce
un dramma liturgico con personaggi diversi e nuova musica. Altri argomenti di
drammi sono quelli legati al Natale, alla Passione, a temi tratti da libri del
Vecchio Testamento. Queste sacre rappresentazioni erano particolarmente diffuse
sui sagrati delle chiese in Francia e in Italia; vi si utilizzavano anche parti
di testo in volgare, forse per caratterizzare personaggi
popolari.
SCALA
Si dice scala una successione di suoni
ordinata in senso ascendente o discendente all'interno dello spazio di
un'ottava. Culture musicali diverse hanno utilizzato per la loro musica scale
diverse. Quelle della musica scritta occidentale sono formate da sette suoni; i
loro diversi rapporti hanno dato origine a due modi: quello maggiore e quello
minore. La successione dei toni e dei semitoni nel primo di essi è:
T-T-ST-T-T-T-ST. Le note che compongono la scala si chiamano anche gradi, e il
rapporto di mezzo tono (o semitono = ST) esistente tra il terzo e il quarto
grado e il settimo e il primo è ben visibile su una tastiera eseguendo la
scala maggiore che parte dal do: tra il mi e il fa e tra il si e il do si vede
che non c'è di mezzo un tasto nero. Tra il do e il re invece esso
è presente, per cui la distanza fra queste due note è di un tono
(T), che è la somma appunto di due semitoni. Il semitono è la
distanza più piccola fra due note eseguibile su una tastiera: nel sistema
temperato che si è affermato in Occidente a partire dal secolo XVII i
dodici semitoni dell'ottava sono uguali fra loro (la scala che li comprende
tutti si chiama scala cromatica), ciò permette la completa
trasponibilità delle scale tonali e il passaggio da una scala all'altra
mediante la modulazione.
In una scala tonale ogni nota ha una funzione
anche come generatrice degli accordi che su di essa vengono costruiti,
particolare importanza ha il primo grado che costituisce il punto di riferimento
di un brano musicale e da cui parte la scala base su cui esso è
costruito: dire che una sonata è «in fa maggiore» vuol
significare che il compositore ha scritto il suo lavoro utilizzando
prevalentemente i suoni di quella scala e che, se si tratta di un brano
classico, esso inizierà e terminerà con l'accordo costruito sul
primo grado di essa, ossia sul fa.
Per quanto riguarda il modo minore le
cose sono un po' più complesse; la disposizione dei toni e dei semitoni
è in questo caso la seguente: T-ST-T-T-ST-T-T. Essa è stata di
solito seguita quando la scala funziona in senso discendente; in senso
ascendente la sensibilità affermatasi nel corso del Rinascimento, ha
fatto sì che il settimo grado (il cui nome è sensibile) si
sistemasse ad un semitono dalla tonica, dando origine a quella che è
stata chiamata scala minore armonica, così detta perché è a
partire dalle note di essa che si generano gli accordi più usati nel modo
minore; dal punto di vista melodico però la sua realtà, specie per
quanto riguarda la musica vocale, è stata quasi nulla, in quanto in essa,
tra il sesto e il settimo grado, si viene a formare un intervallo di un tono e
mezzo (detto anche seconda eccedente) che, utilizzato senza alcun problema dalle
civiltà estranee a quelle dell'Europa occidentale, era qui sentito come
difficile e anomalo. Nacque allora una nuova scala, detta minore melodica,
appunto perché il suo impiego soddisfaceva la tendenza ad utilizzare
nelle melodie vocali esclusivamente intervalli di tono e di semitono. Questa
scala discendendo ritorna naturale, perché il problema della sensibile in
questo caso non esiste più; ma non sempre: Bach e altri suoi
contemporanei utilizzarono talvolta la scala melodica anche discendendo (scala
di sach). Come si vede il concetto di scala anche limitando il discorso alla
musica tonale, varia ampiamente a seconda della sensibilità delle diverse
epoche.
Al di fuori dell'ambito tonale le scale in uso si sogliono definire
genericamente modali, intendendo con ciò alludere a scale i cui suoni si
dispongono in modo diverso nello spazio d'ottava, rispetto a quelle tonali.
Citiamo le scale della Grecia antica e quelle gregoriane, codificate in otto
modi a seconda dell'estensione e della funzione dei suoni nell'ambito da esse
ricoperto.
Nel corso del secolo XX sono state utilizzate scale spesso
derivate da quelle etniche, non solo per fare colore, ma anche e soprattutto per
comporre in modo diverso da quello tradizionale.
Esiste così ad
esempio una scala esatonale, con sei suoni distanziati uno rispetto all'altro di
un tono, ed una scala octofonica (otto suoni variamente disposti nell'ambito
dell'ottava), quella dei blues, con il terzo e il settimo grado
variabili.
POLIFONIA
Il concetto di polifonia implica nel suo
significato più generale, l'esistenza di due o più parti vocali o
strumentali che si evolvono contemporaneamente. Al concetto di polifonia si
oppone quello di monodìa, che in senso stretto è pertinente ad una
pura linea melodica esente da accompagnamento. Tra l'una e l'altra stanno
pratiche musicali come quella del bordone d'accompagnamento semplice o multiplo,
che costituisce una base statica ad una linea melodica, e quella
dell'eterofonìa, in cui una melodia viene eseguita da una voce, mentre
un'altra voce o strumento all'unisono o all'ottava le girano intorno
improvvisando varianti melodiche che si discostano in modo variabile dalla
melodia base.
Di queste pratiche sono esempio le musiche popolari per
cornamusa, i supposti accompagnamenti alle melodie trovadoriche, la musica
indiana per sitar e tampura (strumenti a corde della famiglia dei liuti) nel
primo caso, l'antica musica greca e le melodie orientali accompagnate da
strumenti a fiato nel secondo.
La pratica polifonica caratterizza la storia
della musica occidentale popolare e colta ma non è l'unica. Nell'ambito
di musiche etniche si riscontrano procedimenti polifonici anche molto
sviluppati, come nella musica vocale centrafricana e in quella strumentale
giavanese.
è fuor di dubbio però che la ricchezza di sviluppi
testimoniata da documenti scritti dal X secolo ad oggi, è propria della
civiltà musicale europea e di quelle extraeuropee da essa derivate. Nel
XIII secolo era ormai normalmente praticata e scritta la composizione a quattro
parti come la si può vedere nei quadrupla (organa a quattro voci) di
Perotinus. Nel Trecento le tecniche polifoniche sono in pieno sviluppo, e
durante il Rinascimento la polifonia si avvale delle più elaborate
tecniche contrappuntistiche. La polifonia strumentale è in questo
periodo, un riflesso di quella vocale, essendo la produzione puramente
strumentale collegata con la musica di danza.
Nel corso del Barocco si pone
invece sullo stesso piano di quella vocale, sviluppando caratteristiche proprie.
In questo periodo si attua poi una stretta fusione tra lo sviluppo dell'armonia
collegato appunto all'epoca del basso continuo (fino a circa metà del
Settecento), e tecniche polifoniche.
La presenza di un'armonia più
ricca e organizzata permette una polifonia più variegata. Successivamente
gli sviluppi più interessanti sono di natura prevalentemente armonica,
ossia collegati con una polifonia attenta allo sviluppo verticale più che
a quello delle combinazioni orizzontali. Tuttavia l'elaborazione nella forma
sonata sarebbe stata impossibile senza la capacità di sovrapporre
più linee indipendenti.
L'evoluzione parallela e contemporanea di
più elementi tematici fa parte integrante del sinfonismo tardo
ottocentesco, segnatamente di musicisti come Bruckner, Mahler, Strauss e, nel
campo operistico, di Wagner che riesce a fondere su basi drammatiche, un nuovo
sviluppo dell'armonia con un libero uso di sovrapposizioni lineari procedenti ad
ondate successive e spesso ininterrotte.
Nel Novecento, giunta l'armonia ad
un grado di evoluzione esplosivo, la polifonia diventa estremamente intricata e,
sfuggendo ad un codificato controllo armonico, molto libera. Melodie di gruppi
di suoni in movimento si intersecano con linee singole e con armonie
continuamente cangianti, essendo data grandissima importanza al timbro come
elemento organizzatore dei diversi piani sonori; è nell'opera di Berg che
si possono forse trovare gli esempi più validi di un tale modo di
procedere.
Successivamente, sia per l'avvento delle tecniche dodecafoniche,
che per la spinta delle estetiche neoclassiche, la scrittura si semplifica e
procede per linee spesso duramente sagomate.
Autori anche di diverso
orientamento stilistico come Hindemith, Sostakovic, Dallapiccola, utilizzano
procedimenti contrappuntistici barocchi rivisitati. A partire dagli anni
Cinquanta la polifonia torna ad essere densa e si allarga spesso agli strumenti
a suono indeterminato, investendo ovviamente in questo caso solo l'aspetto
timbrico e ritmico dei parametri sonori.
Musicisti come Stockhausen, Nono,
Donatoni e Ligeti, hanno provato che la polifonia costituisce ancor oggi la
chiave di volta di un mondo sonoro pur così lontano da quello che la vide
comparire.
CONTRAPPUNTO
Tecnica musicale consistente nel
sovrapporre due o più parti melodiche indipendenti osservando
procedimenti variabili a seconda delle epoche e delle scuole musicali.
Le
prime esemplificazioni chiare sul contrappunto si trovano in un trattato anonimo
del X secolo, la Musica Enchiriadis, e descrivono come, sopra una linea melodica
desunta dal gregoriano, si possa sovrapporre nota contro nota un'altra parte
all'ottava, alla quinta o alla quarta; ne deriva un tipo di polifonia (organum),
in cui le parti hanno un'indipendenza fittizia, perché i movimenti sono
strettamente paralleli. Nell'organum cosiddetto libero, descritto sempre nel
medesimo trattato, la voce inferiore che accompagna la melodia gregoriana, si
muove in un modo un poco più indipendente: le due parti iniziano e
finiscono all'unisono, soffermandosi preferibilmente sull'intervallo di quarta,
ma formando anche di passaggio intervalli di seconda e di terza.
Nel corso
dell'XI secolo si fa strada un principio destinato a grande sviluppo: quello del
moto contrario, enunciato chiaramente dal teorico inglese Johannes Cotton, e
utilizzato ormai con una certa sistematicità nelle superstiti raccolte
dell'epoca. Questa tecnica, che prende il nome di discanto, viene chiaramente
illustrata in un trattatello francese che ha appunto come titolo Quinconques
veut deschanter (XIII secolo).
In questo periodo si va affermando anche la
possibilità di utilizzare il canto originario (vox principalis) come
basso, aggiungendovi sopra una melodia (vox organalis): si pongono cosi le basi
per l'uso del cantus firmus o tenor, secondo una tecnica che sarà
utilizzata attivamente fino al XVI secolo. Viene anche sperimentata la
possibilità di contrapporre ad una sola nota in una parte, due o tre note
nell'altra, aumentandone così l'indipendenza. Agli inizi del XII secolo
tale pratica darà origine all'organum melismatico (dal greco mèlis
= «canto») in cui a lunghe note nella parte inferiore (quelle della
melodia gregoriana, ormai ridotte ad una pura serie di suoni di sostegno), sono
sovrapposte sequenze molto ricche nella parte superiore, ora totalmente
indipendente.
Contemporaneamente a queste tecniche contrappuntistiche del
continente, in Inghilterra se ne venivano sviluppando di simili, che però
utilizzavano come intervalli preferiti la terza, e le terze e seste se il canto
era a tre voci; sono tecniche note come gymel e discanto inglese; questi
rapporti si imporranno nei movimenti paralleli di parti nel corso del
Quattrocento.
A cavallo fra il XII e il XIII secolo, nell'ambito della
scuola di Notre-Dame a Parigi, viene talvolta utilizzato in composizioni a
quattro voci un principio che sarà di capitale importanza per lo sviluppo
del contrappunto: quello di scambiare due melodie tra due diverse voci
intersecantesi tra loro.
In un brano a sei voci, della prima metà
del XIII secolo, Sumer is icumen in (= «L'estate arriva»), si trova
invece praticato un importantissimo artificio contrappuntistico: quello del
cànone; mentre le due voci inferiori cantano alternandosi una breve frase
musicale, le quattro voci superiori entrano una dopo l'altra cantando lo stesso
motivo. Nel Medio Evo esistono già quindi, sebbene in uno stadio di
sperimentazione, tutti i procedimenti del cantare a più voci che
verranno, con modifiche anche radicali, utilizzati in seguito. Nel corso del
Trecento si metteranno a punto raffinati procedimenti costruttivi, quali quelli
che si riscontrano nei mottetti di Machaut. Mentre nel Medio Evo si procedeva
per linee stratificate, con un forte gusto per l'ornamentazione, nel corso del
Rinascimento si assiste all'utilizzazione del contrappunto con funzione
unificatrice dell'intera composizione, in cui le diverse parti stanno in stretta
relazione fra loro nella conquista di una sempre maggiore pienezza di suono,
legata all'utilizzazione delle triadi complete. L'alternarsi delle voci che
riprendono in imitazione (libera o rigorosa) i diversi spunti melodici,
l'utilizzazione delle dissonanze e delle consonanze come adatte a creare
tensioni e distensioni, costituiscono le tecniche compositive di base con cui
lavorano generazioni di musicisti da Dufay a Monteverdi.
Nel periodo
barocco il contrappunto venne assumendo un volto diverso: si utilizzano
procedimenti armonici e melodici ripetitivi, e assume grande importanza il
principio del contrappunto invertibile a due o più parti. Esso è
congegnato in modo che due o più elementi tematici possano essere
inseriti in ogni parte, acuta, intermedia o grave, senza che l'armonia abbia a
soffrirne: così vengono trattati nella fuga, il soggetto e il
controsoggetto.
Nel corso dell'Ottocento il contrappunto venne in genere
sentito come un fatto accademico ed usato solo sporadicamente in modo creativo.
Procedimenti contrappuntistici veri e propri (e non genericamente polifonici su
basi armoniche), si ebbero nuovamente nel Novecento, quando, specie nel periodo
dopo la prima guerra mondiale, si ricominciò ad avere interesse per le
sovrapposizioni lineari: Busoni, Hindemith, Milhaud, Honegger, Bartòk,
Casella, scrissero composizioni contrappuntistiche in cui le diverse parti si
muovono, l'una rispetto all'altra, con una grande libertà, derivata
dall'emancipazione della dissonanza fortemente generalizzata. Essa diviene
totale nell'ambito delle tecniche dodecafoniche, che seguono metodi compositivi
legati ai procedimenti del più elaborato contrappunto. è nelle
opere di Webern, in quelle degli anni Cinquanta di Stockhausen e Boulez che si
possono rintracciare gli ultimi esiti di una scrittura per sovrapposizioni
lineari, che non di rado diventano sovrapposizioni puntuali, collegandosi
così all'antico concetto di punctum contra punctum.
NOTAZIONE
Per notazione si intende tutto l'insieme
dei segni attraverso i quali un brano musicale può essere fissato sulla
carta, essa è l'espressione grafica delle esigenze compositive e si
è sviluppata al mutare di quelle. La possibilità di rendere
ripetibile un testo musicale, ossia di renderlo indipendente da una tradizione
orale è stata, insieme con lo sviluppo dell'armonia, la grande forza
della musica occidentale.
Già nell'antichità classica vi
furono tentativi di notazione; non più che labili tracce presso i
Babilonesi, gli Egiziani e i Cretesi, mentre per i Greci abbiamo una trattazione
completa e sistematica anche se corredata da pochi documenti musicali. I Greci
utilizzavano le lettere dell'alfabeto variamente modificate per indicare
l'altezza dei suoni, mentre per suggerirne la durata sovrapponevano ad alcune di
esse linee e punti. L'idea di utilizzare le lettere per indicare i suoni venne
mantenuta dai Romani, Boezio (480 ca.-526) la sistematizzò usando i segni
dell'alfabeto latino.
Nei secoli successivi si sviluppò in Occidente
un sistema di notazione che molto probabilmente derivò dall'uso, di
indicare con gli accenti acuto e grave l'innalzarsi e l'abbassarsi della voce
sulle diverse vocali del testo da cantare. I segni chiamati neumi, furono
all'inizio (nei IX secolo) disposti su un'unica immaginaria linea; in seguito si
cercò di suggerire meglio l'andamento della melodia disponendoli un po'
più in alto o un po' più in basso a seconda che la voce dovesse
scendere o salire.
Decisiva per una precisa nozione dell'altezza di un
suono scritto fu l'adozione verso la fine del X secolo di uno o due righi
colorati o a secco, all'inizio dei quali veniva posta una lettera chiave come
punto di riferimento per la lettura; le linee indicavano soprattutto la
posizione del fa o del do. Se questa notazione è abbastanza soddisfacente
per un canto ad una voce sola, come è quello gregoriano, non lo è
più per il canto a più voci, che pone il problema di fissare sulla
carta suoni concomitanti di diversa altezza.
A partire dal IX secolo si
susseguono diversi tentativi. Uno fu quello di inserire le sillabe da cantare in
un sistema di righi alla sinistra dei quali speciali lettere indicavano
l'altezza e gli intervalli, altri riutilizzavano le lettere della notazione
fissata da Boezio oppure i neumi in campo aperto. Nel corso del secolo XII si
impose, pare per merito di Guido d'Arezzo (992 ca. - 1050), il rigo musicale a
quattro linee che permise di inserire tutti i suoni di una melodia in un preciso
sistema di riferimento. Nel frattempo però il progressivo differenziarsi
ritmico delle due voci che costituivano la polifonia, poneva sempre più
urgentemente la necessità di sovrapporre con chiarezza le parti, dando un
significato ritmico ai diversi neumi. Essi, inizialmente filiformi, si erano nel
frattempo trasformati proprio in seguito all'adozione del rigo, in segni molto
più corposi che, per la loro caratteristica, vengono designati come
notazione quadrata. è a questo tipo di neumi che viene applicata
un'interpretazione ritmica che è ispirata alla poesia classica, col suo
alternarsi di vocali lunghe e brevi; viene indicata come notazione modale la
scrittura che ne deriva. è questa la notazione utilizzata dai compositori
della scuola di Notre-Dame, fra i secoli XII e XIII.
Fu compito dei teorici
e dei compositori della generazione seguente dare sviluppo alla notazione
mensurale, nell'ambito della quale diminuirono a poco a poco le ambiguità
di interpretazione ritmica presenti nella notazione precedente. Aumentarono i
simboli grafici delle note, si indicarono le pause. Sotto la spinta
dell'evoluzione del mottetto si introdussero nuove possibilità di
suddivisione delle note più lunghe in altre di valore minore. Francone da
Colonia e Petrus de Cruce furono coloro che maggiormente si impegnarono in
quest'opera.
Nel corso del Trecento in Italia e in Francia entrarono in uso
vari segni mensurali che, posti all'inizio della composizione, indicavano il
tipo di rapporto esistente nel brano fra i valori lunghi e quelli brevi; a
questi segni si possono far corrispondere le moderne indicazioni di battuta. Le
variazioni ritmiche nei riguardi della norma indicata sono spesso rappresentate
con note rosse, che in seguito diventarono bianche, dando origine all'alternarsi
delle note bianche e nere. Spesso si incontrano i segni di alterazione (bemolle,
diesis e bequadro) già sporadicamente utilizzati in precedenza. Nei
secoli XV e XVI si afferma la notazione bianca, indicando le note nere i valori
più piccoli o variazioni ritmiche in deroga alla normale
suddivisione.
Con l'inizio del Cinquecento l'uso della stampa portò
ad una standardizzazione delle figure, che rimasero però a forma di
losanga. Nel frattempo l'emancipazione dello stile strumentale da quello vocale,
aveva portato alla necessità di sviluppare una notazione adatta, che si
concretizzò nelle intavolature, specie di stenografia musicale che
utilizza segni speciali, numeri e lettere al posto delle note. Essa fu
variamente utilizzata per il liuto, il clavicembalo e l'organo, fino all'epoca
di Bach quando decadde rapidamente. Compaiono qui le stanghette di
battuta.
Nel corso del Seicento a poco a poco entrano nell'uso le
indicazioni di dinamica, piano e forte, segno di una maggiore attenzione dei
compositori all'intensità del suono, agevolata dal parallelo sviluppo di
strumenti più duttili. A differenza di quanto avveniva per la musica
vocale, già nel Cinquecento si pubblicarono partiture con la completa
stesura degli strumenti sovrapposti invece che, come d'uso, a parti staccate.
Nel corso del Seicento le note assumono a poco a poco il contorno rotondo
attuale.
Nel Settecento con l'aumentare delle esigenze espressive si
sviluppa, specie nella musica strumentale, tutto un insieme di segni per
indicare le modalità di esecuzione: segni diversi di legato, staccato,
crescendo, diminuendo dimostrano la preoccupazione dei compositori di lasciare
sempre meno spazio all'approssimazione e all'improvvisazione.
Nel corso
dell'Ottocento si moltiplicarono le didascalie, specie per l'influenza del
pensiero romantico tendente ad unire musica e letteratura. Indicazioni relative
alla produzione del suono diventarono sempre più fitte finché nel
Novecento si fecero accuratissime, specie nei musicisti della scuola di Vienna.
A partire dagli anni Cinquanta le nuove tecniche esecutive e il nuovo largo
spazio accordato all'improvvisazione, hanno portato all'impiego di nuovi simboli
e ad un altro tipo di scrittura anche molto personalizzato; talvolta simboli
puramente grafici stimolano un'interpretazione sonora, mentre in altri casi una
pura scrittura d'azione (che cosa si deve fare, non ciò che si
otterrà) ricorda un poco lo spirito delle intavolature.
Nella musica
leggera permane l'uso di indicare la nota base di un accordo (spesso espresso
con lettere, secondo la tradizione anglosassone che continua quella medievale)
accompagnata da numeri secondo la pratica del basso continuo per suggerire la
realizzazione degli accordi.
FROTTOLA
La frottola (diminutivo da frotta = «mucchio
di piccole cose») è un componimento musicale in cui primeggia la
voce superiore e dove il basso svolge funzioni armoniche di sostegno mentre le
parti centrali danno vita ad un limitato sviluppo contrappuntistico, le tre voci
inferiori potevano comunque essere eseguite sia da voci che da strumenti (o
anche da un solo strumento, il liuto).
MADRIGALE
Il madrigale (forse dal latino tardo
matricalis = «appena uscito dalla matrice» e quindi
«semplice») è una composizione musicale tipica del Rinascimento
italiano.
A differenza di quella della frottola, la forma del madrigale
è libera e tende ad allineare spunti musicali continuamente rinnovati in
relazione ai diversi motivi poetici del testo. Diffusissimo tra la colta
società italiana, viene a poco a poco coltivato da tutti i musicisti
europei.
Evolve da una prima fase (in cui le voci entrano una dopo l'altra
solo all'inizio), ad una successiva, nella quale rapporto col testo e gioco
polifonico fra le voci trovano un giusto equilibrio. Il numero classico delle
voci di un madrigale è di cinque, da considerarsi come voci soliste
più che corali.
Fuori d'Italia, troviamo altre forme
polifoniche, fra cui la chanson parigina nella quale le voci procedono
preferibilmente con lo stesso ritmo e i cui testi accolgono spunti che
permettono un'interessante animazione musicale; Clément Janequin (1485
ca. - 1558) mette in musica Il canto degli uccelli, Le grida di Parigi (quelle
dei venditori), La battaglia di Marignano.
Di interesse tutto speciale
quanto viene scritto nei Paesi tedeschi. Accanto alla produzione artigianale dei
Maestri cantori, si ha la fioritura del Lied, canto popolare o di corte, le cui
melodie vengono prese come base per composizioni polifoniche comprendenti voci e
strumenti, che verranno utilizzate da Lutero. A partire dallo storico giorno (31
ottobre 1517) in cui affigge le sue tesi alle porte del Duomo di Wittenberg,
egli cerca di creare un repertorio di musica religiosa che consenta ai fedeli di
partecipare attivamente alle funzioni. Da qui il tedesco al posto del latino,
l'uso di melodie conosciute sia di origine profana che gregoriana, la semplice
armonizzazione delle stesse, nota contro nota. Compositore e strumentista egli
stesso, Lutero, a differenza di Calvino, coltiva anche in ambito domestico la
musica di cui è convinto estimatore.
Com'è noto la chiesa di
Roma cercò di correre ai ripari, e nel Concilio di Trento (1545-1563)
venne suggerito ai compositori di limitare l'uso della polifonia imitativa, per
poter meglio comprendere il testo; di usare scale più aderenti a quelle
proposte dai modelli gregoriani; di eliminare melodie o composizioni profane
quali basi delle messe. A queste prescrizioni i compositori si adeguarono solo
in parte, ricorrendo anche a trucchetti come quello di non scrivere sulla carta
le note alterate estranee al gregoriano, ma di introdurle nell'esecuzione
pratica o di indicare come «Sine nomine» una messa che celava in
realtà un tenor profano. Il latino restò comunque la lingua
ufficiale della liturgia e venne riconosciuta e nuovamente esaltata la
professionalità dei musicisti che componevano le varie cappelle
musicali.
Nel quadro della Controriforma si svolge l'opera del massimo tra
gli autori di musica sacra del pieno Cinquecento: Giovanni Pierluigi da
Palestrina.
Intorno a Palestrina si raccolgono numerosi musicisti,
originando quella che viene indicata come Scuola romana. Nell'altra grande
scuola italiana del Cinquecento, la Scuola veneta, la Controriforma stimola
invece una produzione che ha nel colore, nello sfarzo delle masse strumentali e
corali il fascino maggiore. Questa concezione musicale, è inizialmente
dovuta all'opera di due fiamminghi: Adriano Willaert e Cipriano de Rore. Il
primo sviluppò in maniera compiuta la tecnica dei «cori
spezzati»: in S. Marco c'erano due organi ad ognuno dei quali poteva
associarsi un gruppo di cantori; diventò così possibile dar vita
ad una sorta di stereofonia naturale scrivendo in modo che i cori si
rispondessero, riunendosi solo nelle parti iniziali e finali con una
sonorità piena e solenne.
è tuttavia nell'opera di Andrea e
Giovanni Gabrieli (zio e nipote), che la Scuola veneta raggiunge il suo massimo.
I Salmi penitenziali del primo (1510 ca. - 1586) sviluppano il gioco associativo
fra voci e strumenti; solo strumentale è l'Aria della battaglia per sonar
d'istrumenti da fiato. Il nipote Giovanni (1557 ca. - 1612), sviluppa a fondo
questo stile concertato; compare talvolta (ed è una novità)
l'indicazione di quali siano gli strumenti da adoperare. La Sonata pian e forte
specifica per la prima volta le dinamiche da impiegare: all'interesse per
l'imitazione si sostituisce quello per il contrasto di blocchi sonori.
I
musicisti fiamminghi non cessano di essere attivi sulla scena europea: uno di
loro, della generazione successiva a Willaert, Orlando di Lasso conosce una fama
internazionale.
Nel tardo Cinquecento, la produzione madrigalistica
italiana si arricchisce per merito di Luca Marenzio (1553 ca. - 1599) e Gesualdo
da Venosa (1560 ca. - 1613). Entrambi autori di musica profana (nessuno dei due
scrive messe), si differenziano per l'essere il primo compositore equilibrato e
raffinato che, pur utilizzando spunti melodici descrittivi, tende a integrarli
nell'insieme; il secondo invece, rompe quest'equilibrio, esasperando
l'espressione dei sentimenti mediante concatenazioni di accordi e movimenti di
parti sempre tesi e tormentati; lo scardinamento dell'equilibrio rinascimentale
preannuncia la sensibilità del Barocco.
Un curioso episodio legato
alla produzione madrigalistica tra fine Rinascimento e Barocco, è quello
del madrigale drammatico (o dialogico o rappresentativo che dir si voglia), che
è chiaramente il tentativo da parte di un genere in via di esaurimento di
rispondere all'incalzare di quella novità che era allora il melodramma.
Nel madrigale drammatico, senza scena alcuna, vengono descritte situazioni,
raccontate tenui vicende, disegnate figure popolari, satireggiati usi e costumi
dell'epoca, parodiate musiche serie, mescolando linguaggi e stili musicali nello
spirito della contemporanea commedia dell'arte, della quale vengono utilizzate
le maschere più note. Tra i più divertenti esiti di questa
particolare produzione ci sono: L'Amfiparnaso di Orazio Vecchi, La pazzia senile
e Il festino della sera del Giovedì grasso di Adriano Banchieri.
Un
po' in ombra, ma parallelamente alla produzione vocale e favorita dallo sviluppo
delle tecniche esecutive e costruttive, si sviluppa la musica strumentale. Dalle
danze nascono le variazioni su un tema e le prime embrionali forme di suites
(dal francese = «susseguirsi» di musiche per danza); feste, matrimoni,
rappresentazioni teatrali, si arricchiscono di interventi cantati e danzati, con
ricche scenografie.